I film di Asghar Farhadi sono sempre molto densi, il the-end fa calare un sipario silenzioso, necessario per far ordine nel turbine di pensieri e sensazioni che suscitano.
Ogni personaggio sembra dar voce a una diversa sfaccettatura dei modi d’essere, complessificando la trama e mettendo in scena più letture possibili della stessa storia.
Il Cliente racconta la vita di una coppia, unita dall’amore, dal matrimonio, dalla passione per il teatro, da incidenti di percorso, ma separata da un dolore che fa fatica a non restare imprigionato in un mancato dialogo, fra ostinato silenzio ed esacerbata vendetta.
Un edificio che si sgretola apre la scena, Emad e Rana sono costretti ad abbandonare la propria casa. Si trasferiscono in un nuovo appartamento, un piano alto senza ascensore, dove una delle stanze, chiusa a chiave, è ancora occupata dagli oggetti personali della precedente inquilina.
Fra sistemazioni, impegni lavorativi e prove per mettere in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, sembrano quasi ritrovare un nuovo equilibrio, presto sconvolto dall’aggressione subita da Rana nel bagno di casa, da parte di un presunto cliente dell’ex affittuaria, donna di dubbia reputazione.
L’episodio apre ulteriori crepe, ma questa volta nella relazione fra i due protagonisti. Lei chiusa nel suo silenzio, nel tentativo di preservare se stessa ed allontanare il ricordo dell’accaduto, lui a rincorrere indizi che lo porteranno a scoprire il colpevole, ma forse non la verità.
Il film porta in scena il tema della violazione, nel senso di invadere, andare troppo oltre e destabilizzare coesioni.
Violazione da parte di una ruspa che fa cedere le fondamenta dell’edificio dove si è abitato fino a quel momento, violazione di una stanza chiusa a chiave la cui porta viene forzata per prendere pieno possesso degli spazi della casa, violazione dell’intimità del proprio domicilio da parte di un estraneo, violazione del silenzio altrui nella pretesa che venga denunciata la verità, violazione della stessa pièce che i protagonisti mettono in scena, dove la vita reale entra preponderante, modificando ritmi, battute e introducendo parossismi non previsti che allo stesso tempo rendono tutto molto più intenso e vero.
La nostra capacità di giudizio è messa a dura prova continuamente.
Viene da chiedersi “Se ne aveva il diritto?” Si era autorizzati a forzare, a invadere, a pretendere, ad andare oltre? Sembra che la risposta sia indissolubilmente legata alla gravità dei “fatti”, ma… chi può giudicare la verità? E soprattutto, quale verità?
Di fatto, fino alla fine del film, non si saprà mai cosa sia accaduto davvero nel bagno di quella casa, quella sera… la verità sembra riconfigurarsi nel ricordo di chi l’ha vissuta e nella trama delle relazioni.
La coppia si ritrova a guardare nelle proprie crepe, fra equilibri sconvolti e nuovi aspetti dell’altro con cui confrontarsi, aspetti di debolezza, di coraggio, ma anche modi inattesi di affrontare la propria sofferenza, che rischia di diventare una voragine, se non ascoltata e compresa.
Emad è ossessionato dalla ricerca di una verità, vorrebbe che lei denunci, per mettere nero su bianco, poi tenta di farsi giustizia da sé, ma questo comportamento sembra piuttosto creare distanze all’interno della coppia. Convincersi che ci sia una verità da condannare apre a continui dubbi, alimenta l’ira e distoglie da abbracci che in tutto il film ci si aspetta.
Il dolore di Rana è vissuto in un riservato silenzio, nella pretesa di essere compresi, accuditi, mettendo alla prova l’altro nella sua capacità di amare incondizionatamente, qualunque cosa sia accaduta.
Nasce quasi una sfida fra i due, che fa emergere la necessità e la difficoltà di un dialogo, espresso più sul palcoscenico del teatro, che non nella vita reale, complice la “finzione” che libera dal silenzio dei propri sentimenti, e che nella resa finale permette il riscatto e il tortuoso percorso verso il perdono e la compassione.
Proprio nei camerini del teatro, infatti, si gioca la scena finale, fra sguardi che sembrano interrogarsi e ancora profondamente amarsi.
… e caliamo il sipario con le parole dello scrittore David Grossman:
“Ogni coppia condivide un segreto, qualcosa di unico, di particolare. Se questo non c’è… allora non è una vera coppia.”
Marzia Roberto
Psicologa – Psicoterapeuta
Concordo.
È dolore ed è piacere. Solo chi lo vive sa…
"Mi piace"Piace a 1 persona