Quante volte sarà capitato ad ognuno di noi di imbattersi e poi ingarbugliarsi in un pensiero, che si incista nella mente, diventando quasi malsano, ossessivo e difficile da scacciare… e poi tornare ad una rassicurante “ragionevolezza” che relega quel pensiero in una sfera di assurda ”irrealtà”…?!?
Per esempio: temiamo di essere spiati, o che qualcuno controlli le nostre telefonate, o che ci stiano ostacolando nel raggiungimento dei nostri obiettivi, oppure che un collega o il nostro partner ci stia ingannando…?
La nostra mente a volte gioca brutti scherzi, oppure c’è un rischio fondato di temere qualcosa?
Al di là della natura verosimile di ciascuna delle situazioni citate e al di là della coerenza di simili fantasie con una società sempre più “controllante”… molte delle nostre ossessioni originano da timori che abitano la nostra quotidianità, le relazioni con le altre persone e le nostre esperienze passate, ma spesso ci rendiamo conto che si tratta di fissazioni che non trovano riscontro in quello che ci accade, che superano le esperienze che viviamo, sconfinando in un mondo quasi parallelo che si alimenta soprattutto di nostre fantasie.
Ma… reali sono le emozioni legate a questi pensieri, le sensazioni che viviamo in quel momento… la paura, l’angoscia, la rabbia o il senso di smarrimento che proviamo!
A volte però, il pensiero ossessivo può diventare una forma pervasiva di funzionamento, tanto da superare il confine dell’equilibrio psichico, sfociare nel delirio e condizionare la nostra vita in maniera dilagante, compromettere le nostre relazioni sociali, la nostra serenità e quella delle persone che ci sono accanto e soprattutto, guidare scelte che probabilmente non avremmo fatto se questi pensieri non avessero preso il sopravvento.
“Fuga nelle tenebre”, di Arthur Schnitzler, narra proprio di questo confine superato, ma va ancora oltre, mettendo il lettore nella posizione di accompagnare il protagonista nei suoi viaggi deliranti e sentir maturare a poco a poco il germe della follia, che nel suo crescendo fa scendere la nebbia sulla tanto agognata “verità”.
Robert, in congedo dal lavoro per i suoi “nervi fragili”, è ossessionato dal timore di non ricordare eventi del passato, teme di impazzire, ed è alla continua ricerca di prove che gli dimostrino il contrario. La difficoltà a ricostruire con la memoria eventi della sua vita lo rende inquieto e alimenta in lui il dubbio che abbia commesso azioni orribili.
R. teme di aver avvelenato la moglie, poi di aver ucciso la successiva compagna, e per questo sospetta di essere controllato e perseguitato. Infine si convince che a essere preda della follia sia suo fratello, che vuole liberarsi di lui per non destare sospetti sulla propria salute mentale, essendo neurologo affermato e stimato.
La relazione portante dell’intera storia è quella fra R. e suo fratello Otto, relazione che apre e chiude il racconto. R. arriva a considerare suo fratello il principale persecutore, forse perché riconosce in lui il legame più indissolubile e più intimo. Proprio a suo fratello aveva consegnato tempo addietro una lettera in cui lo esortava ad ucciderlo qualora fosse arrivato a perdere la ragione. Questa lettera diviene il cardine delle sue ossessioni… e proprio quando il suo equilibrio mentale inizia a farsi più precario, chiede al fratello di distruggere quella lettera… temendo che Otto voglia realmente liberarsi di lui.
Il monologo interiore è lo stile che l’autore utilizza per dar voce al protagonista, che si confronta continuamente con se stesso e con i suoi pensieri, che da iniziali e saltuari dubbi, gradualmente diventeranno ossessioni, poi radicate convinzioni, infine sfoceranno in veri e propri deliri, fino a costruire una sua realtà che gli farà commettere gesti disperati.
Non sveleremo il finale, che tra l’altro è un espediente narrativo che l’autore utilizza per sancire la fase culminante del delirio… in realtà, molto più spesso assistiamo a un cronicizzarsi di una configurazione psicopatologica, che non sfocia in gesti così estremi.
D’altra parte Il finale giunge inatteso, proprio perché a condurre il discorso è lo stesso protagonista, che convincendosi della sua verità non permette al lettore di vedere molto altro. Non sappiamo fino alla fine cosa si agita nella mente di R., egli si convince di star bene e che siano gli altri a perseguitarlo. I suoi deliri, diventeranno una morsa dalla quale tenterà di fuggire… senza vie di scampo!
L’abilità di Schnitzler è senza dubbio nella fluidità con cui la trama si sussegue e che nel suo disvelarsi, passo dopo passo, ci fa immergere nella vita di R. per poi scaraventarci fuori di essa, per non soccombere, ma piuttosto resistere alla distruzione.
Non arriviamo mai a detestare R., ma, alla fine, quando sembra perdere la lucidità e smette persino di farsi domande, agendo sulla base di quello che egli crede assolutamente reale… solo allora il lettore sente di doversi liberare di lui e del suo pensiero morboso, riuscendo a mettersi nei panni degli altri personaggi, fino a chiedersi quale sia la cosa migliore da fare nei confronti di una persona che sembra aver perso il controllo di sé.
Ma un altro aspetto ci sembra interessante… l’attenzione dell’autore nel soffermarsi e far emergere la complessità di R., oltre ai labirintici pensieri e tormenti, anche gli aspetti più arguti e creativi della sua persona, il suo amore per la musica, la sua sottile sensibilità nel percepire sfumature nell’essenza e negli umori dell’altro, la sua solida fragilità.
Il dottor Leinbach, altro personaggio (a tratti bizzarro) della storia e amico dei due fratelli, nel finale afferma qualcosa di interessante a proposito dell’importanza di prestare attenzione alle situazioni specifiche andando oltre le etichette diagnostiche:
“Noi parliamo invece di rappresentazioni ossessive! Se siamo autorizzati a farlo, se questo termine – come parecchi altri – non rappresenti in realtà una scappatoia – un rifugiarsi nel sistema per sfuggire alla irrequieta molteplicità dei casi singoli -, questa è un’altra questione.”
Quest’opera, scritta fra il 1912 e il 1917, mette in luce lo stretto rapporto fra letteratura e psicologia. Schnitzler e Freud condividono diversi interessi, si ammirano e si temono allo stesso tempo. In uno degli scambi epistolari intercorsi, Freud scrive a Schnitzler: “...Così ho avuto l’impressione che Lei attraverso l’intuizione – ma in verità attraverso una raffinata autopercezione – sapesse tutto ciò che io ho scoperto con un faticoso lavoro sugli altri uomini. Credo, anzi, che nell’istinto Lei sia un ricercatore della psicologia del profondo, così sinceramente obiettivo e impavido, come nessuno prima di Lei“.
In questa sede, non entreremo nel merito dei meccanismi mentali della scissione, della proiezione, della paranoia, del delirio persecutorio, o più genericamente delle psicosi e delle relative teorizzazioni psicologiche; rimandando a successivi contributi ulteriori approfondimenti, ora quello che ci sembra interessante mettere in evidenza sono i numerosi interrogativi che questo testo ci suscita, e che potrebbe sollevare in qualsiasi lettore attento e incline all’introspezione.
Lo si potrebbe considerare semplicisticamente la tormentata storia di un uomo vittima della follia… ma c’è ben altro… questo breve e intenso racconto ci fa riflettere sulla fragilità e complessità della mente umana, ci fa interrogare sulla relatività di quello che percepiamo reale e sulla coesistenza di mondi “immaginari” e “reali” nella costruzione del pensiero, ci fa essere più sensibili sulla vulnerabilità delle nostre percezioni e infine ci fornisce spunti interessanti su quanto i meccanismi della paranoia siano inscritti in una dinamica relazionale.
Cos’è la verità? Cosa c’è di più reale di un pensiero ossessivo nel momento in cui diventa la sostanza di emozioni e comportamenti? Quanto simili manifestazioni condizionano le relazioni con gli altri? Quanto possono alimentare o sono alimentate da dinamiche tipiche del rapporto esclusivo fra due persone e non appartengono soltanto alla mente dell’uno o dell’altro?! Quando si può affermare che una persona stia perdendo il contatto con la realtà? Quale realtà? Da cosa si fugge quando si è preda di deliri persecutori?
R. sente che sta per perdere il controllo di sé e allo stesso tempo teme che gli altri lo perseguitino per questo motivo… è come se ad alimentare la sua “follia” sia proprio quel barlume di lucidità che lo rende consapevole della sua condizione.
In realtà R. tenta disperatamente di fuggire da se stesso… e…
“…precipitò sempre avanti, sempre più lontano, non avendo altro in animo che la ferma volontà di non ritornare in sé – in una notte azzurra, risonante, che mai doveva aver fine per lui. E sapeva di avere già fatto migliaia di volte quella stessa strada e di essere destinato a fuggire migliaia di volte ancora, per l’eternità, nelle notti azzurre, risonanti. ”
Per chi avesse già letto questo libro o per chi avesse curiosità di conoscerlo, siamo interessati ad aprire un confronto, perché ognuno può coglierne sfumature diverse, che appartengono al proprio mondo e per questo può essere stimolante un dibattito che origini da proprie sensazioni e idee, prima ancora che da teorizzazioni delle diverse scienze della mente.
Marzia Roberto
Psicologa – Psicoterapeuta