C’era una volta…è l’incipit con cui spesso si da inizio a storie fantastiche, fiabesche e a volte anche un po’ nostalgiche. Il était une fois, appunto, questo il titolo della mostra di Jean-Luc Moulène, organizzata dall’Accademia di Francia presso Villa Medici a Roma, dal 30 aprile al 13 settembre 2015.
Giungiamo dopo molti mesi all’evento, che fra pochi giorni vedrà la sua conclusione…e a maggior ragione possiamo sussurrare “c’era una volta”, a Villa Medici, una suggestiva esposizione di opere di un artista contemporaneo francese, che ha destato la nostra attenzione.
Incontriamo Moulène per la prima volta, io personalmente non conoscevo il suo nome, tantomeno le sue opere, diverse, nella forma e nell’espressione: fotografie, video, installazioni, direi quasi composizioni, che ti accompagnano in una passeggiata attraverso gli accoglienti ambienti di Villa Medici, fra le sue stanze maestose, le ampie scalinate in pietra o a spirale perfetta, gli ariosi cortili.
Tutte le opere di Moulène sembrano arredare, con discrezione, spazi che accolgono forme e colori che hanno l’impressione di essere lì da sempre. Si ha il tempo di ammirare uno dei suoi lavori, osservare, pensare, cogliere sfumature, poi percorrere altri passi e incontrare un’altra opera, poi ancora attraversare un corridoio per entrare in un’altra stanza e scorgere altro, poi salire una lunga scalinata sempre accompagnati dalle sue opere e così via…il tutto senza essere mai saturi, ma sempre con il desiderio e la speranza di scorgere e incontrare un’altra sua creazione. Non c’è la foga di cogliere tutto avidamente, non siamo infatti affogati da opere d’arte, c’è piuttosto la sensazione di passeggiare fluidi e leggeri fra architetture ed opere come elementi d’arredo, che riflettono la propria storia.
Volendo cogliere il tema ispirato da questa esposizione, mi viene in mente il ri-evocare…o meglio ancora ri-visitare…alcuni lavori, infatti, si ispirano ad elementi presenti nell’architettura o nelle decorazioni di Villa Medici, altri sono stati creati appositamente per questi ambienti trasformando oggetti con materiali diversi…quasi un percorso nella storia dell’artista e della location che lo ospita. La mostra trae spunto, infatti, da una lunga permanenza di Mouléne a Villa Medici, occasione per vivere, respirare e animare quel luogo.
Mi confronto con una mia amica, socia e collega e le chiedo “Cosa ti evoca l’espressione c’era una volta?”…lei mi risponde “Un’altra me stessa”. Resto stupefatta…credo abbia colto a pieno il senso (che io avevo in mente) del rievocare e soprattutto del rivisitare…quindi del ricordo!
Dietro un semplice “C’era una volta” possiamo cogliere sostanziali suggestioni sul tema della memoria, della plasticità neuronale, della capacità di trasformazione attraverso il tempo e l’esperienza emotiva e sensoriale. C’era una volta, ci fa pensare anche all’irripetibilità di ogni istante di vita. Non siamo mai uguali a noi stessi nel tempo, pur ritrovando un fil rouge che collega i luoghi che abbiamo abitato e le persone che abbiamo incontrato nella nostra vita.
Leggiamo sulla presentazione della mostra pubblicata nel sito di Villa Medici:
“Questa mostra presenta più di trenta opere, una selezione apparentemente eterogenea che permette di cogliere alcuni dei principi caratteristici della pratica dell’artista: l’uso de l’objet trouvé o della “situazione trovata”, semplicemente colti seguendo il principio della fotografia (…) o trasformati ed elaborati secondo il principio del disegno (…); un approccio alla realtà che non riduce l’arte alla comunicazione o alla narrazione ma che propone una presentazione di immagini; un modo di concepire le proprie opere (…) sia come esperienze del pensiero che come esperienze sensibili.”
Dunque…il ritrovare e il ritrovarsi, attraverso oggetti, simboli, sensazioni, che fanno luce e ombra ai nostri ricordi…che possono sembrarci un venire alla mente frammentato, ma che si mescolano inevitabilmente al pensiero e alle sensazioni di quell’istante, diventando un processo fluido, perché parte del nostro modo di essere e di agire. D’altronde, quello che siamo è nella nostra storia…così come la nostra eternità è nella nostra memoria collettiva.
La mostra si conclude e ci ritroviamo, per raggiungere l’uscio, a percorrere una scala a chiocciola geometricamente perfetta, che dà l’idea dell’andata e del ritorno, indistintamente…del ri-trovarsi, appunto!
Marzia Roberto
Psicologa – Psicoterapeuta