Il sale della terra non è soltanto un film…è un film e una mostra fotografica…il sale della terra non è soltanto un film e una mostra fotografica…è soprattutto un viaggio…un viaggio nel terrificante e incantevole mondo narrato attraverso lo sguardo di Sebastião Salgado e la sapiente guida di Wim Wenders, accompagnato alla regia dallo stesso figlio di Salgado, Juliano. Un viaggio nella vita e nell’opera del fotografo brasiliano, narrata da lui stesso, attraverso i suoi progetti fotografici e insieme ai personaggi significativi della sua vita.
Questo film documentario ci offre un profondo messaggio….un messaggio proteso all’azione…o meglio all’inter-azione…delicata, rispettosa, sentita e com-partecipata…un modo per entrare in contatto con le realtà che ci circondano, per costruire narrazioni nuove rispetto a quelle che si sarebbero potute creare senza l’incontro con l’altro. Salgado è in continuo movimento, così come la sua opera, che arriva a noi ancora viva, come se stessimo partecipando alla scena. Ogni foto ci parla di un pezzo di storia, la sua e la nostra storia. Ogni foto ci racconta di un incontro, ogni foto è la memoria di un dialogo…un dialogo di sguardi, che richiamano un’attenzione in modo discreto e silenzioso…tanto che non esistono più attori e tantomeno spettatori…siamo tutti coinvolti, ri-presi e sorpresi dall’obiettivo.
“Gli importava davvero della gente…dopotutto la gente è il sale della terra”…sostiene Wim Wender, riferendosi a Sebastião Salgado, il grande scultore di immagini. Quel sale che allo stesso tempo corrode e conserva gli elementi con cui entra in contatto, così come gli umani con la terra che li ospita. E le sue foto infatti ci parlano di guerre, distruzioni, massacri, ma anche di protezione, resistenza, rinascita. Il messaggio forte è nella possibilità di ricominciare, insieme a chi resta…nella memoria di chi è scomparso…e nel ricordo di quel che non c’è più.
La fotografia…l’arte del disegnare con la luce…nel suo incantevole bianco e nero, nel gioco di luci ed ombre, riprende corpo all’interno della pellicola cinematografica, animandosi di tinte emozionate e raccontandoci quel movimento che accompagna ogni scatto. È lo stesso Salgado, nel tentativo di fotografare un orso polare dalla finestrella di un casottino in mezzo a una distesa di ghiaccio, a esortare che si tratta di una posizione utile solo a fare una semplice riproduzione dell’immagine…e quindi è una posizione che “non va bene…perché non c’è azione…manca il contesto”. È come dire che una posizione da “non visto” che però si arroga il privilegio di “vedere” è una posizione che non permette di partecipare alla costruzione dell’immagine…mancando una prospettiva di contesto e non essendoci “relazione”. Sarebbe una foto statica…eppure le creazioni di Salgado ci risucchiano vorticosamente nei paesaggi e nelle situazioni ritratte…tanto da sembrare, nella loro sequenza, scene animate di un film. L’abilità di Wenders nel montaggio facilita allo spettatore l’inevitabile cambio di posizione…impossibile restare immobili, impassibili…impossibile non entrare nella storia.
Marzia Roberto
Psicologa – Psicoterapeuta
http://www.ted.com/talks/sebastiao_salgado_the_silent_drama_of_photography
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